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Don Lorenzo Milani

DON LORENZO MILANI
Lorenzo Carlo Domenico Comparetti*, questo il suo nome completo, nasce a Firenze il 27 maggio 1923, secondo dei tre figli di Albano Milani e Alice Weiss (il cugino della madre, Edoardo, è stato il fondatore della scuola psicoanalitica italiana di Trieste).

Sposati civilmente, nel 1933 i coniugi Milani si sposano anche in chiesa (Alice Weiss era di origine ebraica) e di seguito battezzano i figli.

Rampollo di una ricca famiglia fiorentina di scienziati e cattedratici, laica e raffinata, nipote di un grande filologo, il giovane Lorenzo conosce bene il valore della cultura ed ha una passione: la pittura.

E' mentre sta affrescando una cappella sconsacrata che Loreno scopre la sua vocazione. Si converte così al cattolicesimo, entra in seminario e il 13 luglio del 1947 venne ordinato sacerdote.
Nominato cappellano nella parrocchia di S. Donato Calenzano, alle porte di Firenze, si trova ad operare in una realtà rurale arretratissima; i suoi parrocchiani sono braccianti, pastori e operai perlopiù analfabeti.

“Da bestie si può diventare uomini e da uomini santi, ma da bestie a santi, in un passo solo non si può diventare”.

Don Milani si convince che sia dovere della Chiesa occuparsi dell'istruzione dei suoi fedeli, sopratutto dei più deboli. Maestro, dunque, prima ancora che prete: questa è l'intuizione di don Milani.
In Italia gli analfabeti sono 5 milioni, il 13% della popolazione italiana. Don Milani decide di partire dalla lettura dei giornali in classe, analizzando i temi dell'attualità e soffermandosi a lungo sui termini difficili.

“Con la scuola non li potrò far cristiani ma li potrò fare uomini”.

Egli è convinto che solo la cultura possa aiutare i contadini a superare la loro rassegnazione e che l'uso della parola equivalga a ricchezza e libertà. Deve essere un luogo che accetti tutti; dalle pareti decide di togliere il crocifisso affinché ciascuno, credente o ateo, si possa sentire a casa sua.

Quella di don Milani si rivela subito qualcosa di più di una scuola; a S. Donato Calenzano il sacerdote costruisce una comunità, dove ogni regola gerarchica viene sconvolta.

La Chiesa inizia a guardare con diffidenza a questo prete anomalo e pieno di entusiasmo. Lo manda allora in una sorta di “confino” a Barbiana, una piccola località sui monti del Mugello, mascherando la punizione con una promozione; diventa parroco di una cappella sperduta tra i boschi: 124 abitanti in tutto, un angolo lontano dall'Italia del boom economico.

A Barbiana non c'è la strada, non c'è l'acqua; vicino alla parrocchia vivono solo una manciata di famiglie sparse tra i monti. Appena arrivato don Milani fa un gesto simbolico: acquista un posto nel piccolo cimitero di montagna.

Ed è proprio a Barbiana che don Milani fa la sua esperienza più forte; costruisce dal nulla e nel nulla la sua scuola. Per convincere i genitori a mandarvi i propri figli il parroco utilizza ogni mezzo, persino lo sciopero della fame.

Quella di Barbiana è una scuola all'avanguardia; si studiano le lingue straniere, l'inglese, il francese, il tedesco e persino l'arabo. Si organizzano viaggi di studio e di lavoro all'estero.

Egli stesso tiene lezioni di recitazione per far superare le timidezze dei più introversi e costruisce una piccola piscina per aiutare i montanari ad affrontare la paura dell'acqua. Nella scuola di don Milani si studia 12 ore al giorno, 365 giorni l'anno.

L'insegnamento religioso non ha nulla di ortodosso; si legge il Vangelo ma senza il tentativo di indottrinare i ragazzi.

Il motto della scuola di don Milani è I care, ovvero mi riguarda, mi sta a cuore, mi prendo cura: il contrario esatto di un atteggiamento di disinteresse. Alle pareti è appeso un mosaico fatto dai ragazzi della scuola che raffigura un ragazzo con l'aureola intento a leggere un libro. E' il nuovo santo di Barbiana, il santo scolaro.

“I miei piccoli monaci che sopportano senza un lamento dodici ore quotidiane feriali e festive di insopportabile scuola non sono affatto eroi ma piuttosto dei piccoli svogliati scansafatiche che hanno valutato che sedici ore nel bosco a badare alle pecore sono peggio che dodici a Barbiana a prendere pedate da me. Ecco il grande segreto pedagogico del miracolo di Barbiana, ognuno vede che non ho merito alcuno e che il segreto di Barbiana non è esportabile”.

L'esperienza della scuola di Barbiana attira sull'Appennino toscano insegnanti italiani e stranieri, gente della cultura e personalità della politica.

Nel 1967 don Lorenzo scuote la Chiesa e tutta la società italiana con “Lettera ad una professoressa”, scritto insieme ai ragazzi della scuola di Barbiana.

“Se mandate i poveri via dalla scuola non è più scuola; è un ospedale che cura i sani e manda via i malati, diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile”.

Il libro denuncia l'arretratezza e la disuguaglianza presenti nella scuola italiana che, scoraggiando i più deboli e spingendo avanti i più forti, sembra essere ispirata da un principio classista e non di solidarietà; un atto di accusa verso l'intero sistema scolastico.

E' scritto in un italiano semplice; la prima stesura vene fatta leggere da un contadino che sottolinea le parole che non capisce affinché l'autore possa apportare al testo tutte le modifiche necessarie e renderlo accessibile a tutti. Il libro diventa un caso letterario, uno dei testi sacri del '68 italiano: nei giorni della contestazione si facevano letture di gruppo del libro e seminari sui temi dello studio critico e della sua importanza per la trasformazione del mondo.

A soli 44 anni, il 26 giugno del 1967, Lorenzo Milani si spegne e, così come aveva chiesto, viene seppellito nel piccolo cimitero di Barbiana con i paramenti sacri e gli scarponi da montagna.

Le ultime parole del suo testamento sono ancora una volta per i suoi ragazzi:

Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho la speranza 

che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia 

scritto tutto al suo conto. Lorenzo

*_Questa presentazione è la rielaborazione di un testo tratto da “La storia siamo noi – Don Lorenzo Milani”, ed. Rai